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E’ il digitale, Watson!

luglio 22, 2012

Agli ortodossi probabilmente l’idea non piace, anzi probabilmente li infastidisce. Una versione moderna di Sherlock Holmes, orrore, e perchè mai? Si rischia di perdere qualcosa di essenziale o di aggiungere elementi estranei, di sfalsare lo Zeitgeist  e blablabla.

Invece a me la serie TV dello Sherlock Holmes del Duemila piace proprio perchè trovo irresistibile il dialogo a distanza che si instaura tra vecchio e nuovo. Il novello Holmes introduce elementi moderni  pur mantenendo legami strettissimi con il personaggio vittoriano: le schermaglie con Watson, reduce oggi come allora dalla guerra in Afghanistan, l’appartamento a Baker Street 221B, il cattivissimo Moriarty , l’ispettore Lestrade. Persino i titoli degli episodi ammiccano a quelli dei racconti di Conan Doyle.

Non è solo il ritmo della narrazione ad essere diverso, più incalzante: a questo ci avevano già abituato la frenesia e le acrobazie dello Sherlock Holmes vitaminico di Guy Ritchie che pur mantenendosi fedele all’ambientazione spaziotemporale originale aveva reso Holmes una sorta di James Bond o Ethan Hunt ante litteram

A fare la differenza è, naturalmente, il fatto che lo Sherlock Holmes del Duemila è praticamente un  nativo digitale: usa il cellulare e il computer, comunica (poco) tramite sms,  maneggia strumenti altamente  tecnologici con smaliziata disinvoltura. Ma questa volta la tecnologia non mira solo a rendere più serrato il ritmo del racconto o a creare effetti speciali mirabolanti. E’ virtuosismo, sì, ma  qui diventa un nuovo e delizioso elemento narrativo a sostegno dell’ottima sceneggiatura. Come? Holmes e Watson comunicano spesso tramite sms: ed ecco che i testi vengono visualizzati direttamente sullo schermo anzichè con l’inquadratura del display del telefono. E veniamo accompagnati nella mente di Holmes mentre mette in atto la tecnica deduttiva per cui è famoso: i particolari che raccoglie dall’osservazione si palesano come scritte sullo schermo, rapide e fugaci come il pensiero.

Holmes farà poi  sempre seguire una dettagliata spiegazione delle sue deduzioni ad uno sbalordito Watson: i duelli verbali tra i due sono gustosi, pieni di affondi e stoccate meravigliosamente british, ascoltare per credere. A coloro che guardino gli episodi in lingua originale consiglio vivamente i sottotitoli, le freddure arrivano improvvise, spesso in rapida successione.

Anche la regia attinge a piene mani dalle tecniche digitali per realizzare balzi spaziali e temporali arditi e repentini:  in un attimo si può passare  da un’ambientazione reale ad una virtuale o psichedelica.

Nei racconti originali l’io narrante è Watson. Nella serie i casi ed i protagonisti vengono narrati apparentemente dall’esterno, ma sorpresa! Watson riassume la veste di narratore creando  un blog in cui posta il resoconto di ogni caso risolto. Non è una bella trovata questa? Ma sì, lo è: come altrimenti potrebbe al giorno d’oggi darci una descrizione attenta dell’incredibile personalità e attività del suo amico?

E a proposito di personalità, guardiamoli più da vicino questi Holmes e Watson coevi.

Lo Sherlock Holmes di Michael Cumberbatch è adorabile: un viso fanciullesco che stride con la voce dalla profondità tanto abissale quanto inaspettata (sì, ho una sorta di feticismo per le voci) e una personalità che combina una gelida superbia con un’irascibilità istrionica. Dimenticatevi lo Sherlock Holmes di Basil Rathbone (di recente lo si è rivisto su RAI5), il nuovo Sherlock è decisamente più intrigante. Ma potete dissentire, naturalmente.

Martin Freeman interpreta il Dott. Watson in chiave più moderna e decisamente meno paciosa. Del corrispettivo letterario mantiene l’equilibrio, sensibilità e buon senso a contrastare gli eccessi caratteriali del suo compagno di avventure. Di nuovo c’è che gode di un discreto successo con le donne.

E poi c’è Moriarty, interpretato da tale Andrew Scott. Favoloso.Un viso che sa virare dall’innocenza alla perversione, una voce che può essere stridula, profonda, svagata, spaventosa. Con Holmes-Cumberbatch condivide l’aspetto fanciullesco, un po’ acerbo, di uomo non ancora fatto.

E’ una serie con tanti punti di forza, insomma: anche la colonna sonora è ben fatta, con un motivetto che ti entra in testa e non ti lascia più. E’ da stamattina che lo canticchio, ed ecco svelato il mistero del perchè cavolo ho scritto questo post.