Archive for giugno 2012

Tu chiamala se vuoi esasperazione

giugno 29, 2012

Non ho nulla contro i tormentoni estivi, sia chiaro. Se m’imbatto nel waka waka alla radio alzo il volume e canto in camerunese pure io. Alla bisogna, ma solo, ripeto solo, in caso di necessità e se sono da sola,  faccio anche la mossetta con le mani giunte, anche se questo comporta l’abbandono temporaneo del volante.

Ne ho canticchiati di Didìn,  di Vamos a la Playa, Peoplefromibiza, Pollineditè, di Capitani e Chihuahua.

Dopo un po’ vengono a noia, ovvio, vanno centellinati.

Ma ‘sto onnipresente, infestante Ai se eu te pego mi fa cag mi fa davvero orrore, è un tormentone da discount.

E l’estate è solo agli inizi.

Nora mi fa impazzire

giugno 28, 2012

Sarà anche una frase fatta, ma come lei, Nora, non c’era nessuna.

Chi non è rimasto folgorato dalla sceneggiatura di Harry ti presento Sally, alzi la mano: verrà purtroppo fucilato all’istante.

E’ un gioiello dall’inizio alla fine,  in grado, da solo, di garantire l’immortalità. Personalmente trovo irresistibile il racconto di Harry sulla sua fantasia sessuale ricorrente: “Sto facendo l’amore e i giudici olimpionici guardano. Ho superato le eliminatorie e sono entrato  in finale. Il  canadese mi dà 9,8, l’americano un 10 pieno e mia madre travestita da giudice della Germania dell’Est mi dà 3”.

Ma non ha scritto solo sceneggiature: Affari di cuore e Il mio collo mi fa impazzire sono ben scritti oltre che, ovviamente, esilaranti.   Nora possiede un’ironia di qualità purissima, guarda tutto sorridendo bonariamente o amaramente,  racconta con leggerezza il bello ed il brutto della vita. E raccontate così, anche le cose brutte, il dolore, la perdita, l’umiliazione acquistano un colore, paiono affrontabili.

A proposito di colore, mi torna in mente quello che Nora ha scritto a proposito dell’invecchiare nel mio Collo mi fa impazzire. Diceva che ciò che serve DAVVERO a far sembrare le donne più giovani non sono  lo stile di vita salutare, l’alimentazione sana, l’attività fisica, blablabla. Tutte balle. Cioè, tutto aiuta, ovvio, ma a fare davvero la differenza è la tinta dei capelli. E penso abbia assolutamente ragione.

Gli altri suoi racconti non li ho ancora letti, in libreria generalmente non si trovano. Hanno titoli meravigliosi, comunque, Wallpaper at the Orgy e Crazy Salad.

Dimenticavo: Nora è un’appassionata ed entusiasta gourmand, non per nulla ha sceneggiato anche Julie & Julia: nel Collo ha dato la descrizione di una burrosa quiche alle verze da far venire l’acquolina in bocca.

Non appena il caldo darà tregua, credo che proverò a cucinarla questa quiche, voglio imparare a farla per benino. E poi brinderemo alla riuscita, sorridendo e facendoci l’occhiolino.

Cheers, Nora.

Come ti valorizzo il soffritto

giugno 22, 2012

Guarda, io come cuoca non valgo molto. Non ho ancora capito se cucinare mi piace: a volte sì, a volte no. Non sono di quelle che preparano manicaretti gustosi in relax o allegria (o tutt’e due) sorseggiando da un calice con aria ispirata ed efficiente. Non sono nemmeno di quelle che improvvisano  una cena sopraffina per quindici col sorriso sulle labbra e  che dicono: “Nooo, ma scherzi? Ci ho messo pochissimo, pensa, sono rientrata anche tardi, ma a fare ‘sto cigno ripieno non ci vuole niente, blablabla” .

Io adoro avere gli amici da me per cena. Ma se cucino io,  la mia espressione mentale è quella dell’Urlo di Munch. Prima, durante e dopo la cena.

La fase del Prima della cena mi causa stress perché mi lambicco a pensare al menù: tengo aperte mille possibilità anziché DECIDERE una volta per tutte. Penso ai pro e contro, formulo fantaipotesi, sogno cene in cui si parla e si mangia sempre, mai sazi né di cibo né di parole.

Nella fase Durante la cena, anzi, diciamo per tutto il giorno che la precede lo stress è allo zenit: dato che fino all’ultimo ci sono almeno due opzioni per  portata a causa della mia strutturale irresolutezza (che sia perché sono dei Pesci?), la spesa risulta non solo caotica bensì insufficiente. Cioè, se per il primo sono aperte le opzioni  1 e 2, sta’ sicura/o che farò la spesa bene attenta a procurarmi tutto l’occorrente per  1, salvo decidere una volta arrivata a casa, di solito ormai al crepuscolo,  che no,  è meglio la 2: per quest’ultima mancherà almeno un ingrediente, of course, di solito quello ESSENZIALE, la conditio sine qua non, il basilico per il pesto, per capirci, o le patate per gli gnocchi. Occorrerà dunque correre a procurarselo in extremis, accumulando ritardo  e stress su quelli  già maturati nella fase  Prima della Cena.

Quella del Dopo la cena, è una fase di recriminazioni e di sensi di colpa, il trionfo del periodo ipotetico dell’irrealtà, degli avrei voluto e dei non avrei dovuto.

Vuoi che ti parli della preparazione? Ok, allora devi sapere che sono lenta, irrimediabilmente lenta. Ah, e disorganizzata, anche lì irrimediabilmente. Non importa quanto prima io cominci a cucinare, non importa quanto ingegnosamente io abbia pianificato i lavori: alla fine  riuscirò sempre ad incasinarmi e a far sembrare la  cucina come il centro storico di Hiroshima appena dopo la bomba, darò in escandescenze con tutti i membri della mia famiglia per le ragioni più svariate, distruggendo equilibri interpersonali delicati che impiegheranno poi diversi giorni a ristabilirsi e arriverò ad accogliere gli ospiti con l’aspetto rilassato e fresco di Sisifo.

E poi soprattutto, SOPRATTUTTO, quando ho degli ospiti dimentico cose fondamentali, le tabelline, capito? Cose come il sale, ad esempio, oppure l’uovo –  l’uovo, nientemeno – nella torta. Lascio scuocere la pasta, attaccare il risotto, e poi brucio, brucio, brucio tutto.  L’Apocalisse.

Ti basta? Ecco, tutto questo pistolotto (Dottor Divago, mi chiama mia mamma) serve a farti capire, cara amica o caro amico, con quanta umiltà io mi accinga a darti questa ricettina. Non mi atteggerò a Parodi de noantri, facendoti sembrare tutto facile ed immediato, lasciandoti ad immaginarmi mentre, efficiente e taccodotata, maneggio padelle e mezzelune con la disinvoltura di un consumato giocoliere. No, io te lo dirò sempre sinceramente quando una cosa è difficilissima, quando una certa operazione è una palla e quando una certa ricetta riesce bene una volta su cinque.

Non preoccuparti, non faccio mai niente di difficile. Inoltre la mia ricettina si colloca benissimo nel clima generale di austerità in cui ci troviamo a vivere: massima resa col minimo sforzo ed il minimo rischio (e la minima spesa, aggiungo io).

Allora, devi prendere le tre verdure del soffritto: sedano, carota e cipolla. Facciamo che dobbiamo cucinare per 5 o 6 persone? Allora servono circa quattro gambe di sedano freschissime (ci devi togliere i fili, ricordati), circa tre o quattro carote e una bella cipolla. Triti tutto quanto insieme a due bei rami di rosmarino: il trito non deve essere particolarmente fino perché in realtà il soffritto è il protagonista, non fa da coro, da base e basta, capito? Quindi è bello che si vedano i pezzetti di carota e di sedano, per una volta che hanno un ruolo principale diamo loro visibilità, ti pare? Mi raccomando il rosmarino, che sia abbondante, altrimenti il trito di verdure non ha verve. Una volta ottenuto il trito lo metti in una bella padella con un po’ d’olio d’oliva, poi aggiungi acqua (deve coprire bene la verdura), sale quanto basta per rendere il brodino ottenuto ben saporito e lasci cuocere. Non fare come faccio io, non bruciare tutto: stai lì intorno, mescola ogni tanto e lascia assorbire tutta l’acqua. Le verdure devono diventare morbide ma asciutte, spegni tutto quando il liquido sul fondo della padella è solo un velo un po’ colloso e pieno di bollicine. Assaggia: se non è ben saporito, aggiungi sale.

Poi fai la besciamella. Se non la fai mai, segui l’ortodossia, ognuno ha il suo Libro. Se invece sei già pratica/o, puoi sperimentare. Questa besciamella deve essere particolarmente saporita, un po’ più salata del normale, ma non deve coprire il sapore delle verdure. Quindi, risparmia un po’sul burro, puoi anche allungare il latte con dell’acqua. Se ce l’hai grattugiaci dentro un po’ di noce moscata e aggiungi del parmigiano.

Prendi una confezione di pasta all’uovo per lasagne, di quelle in cui le sfoglie siano già pronte per l’uso, così da evitare la struma (vicentino per indicare un lavoro lungo e fastidioso) della sbollentatura delle stesse in acqua salata (mi si dirà: Ma così il pasticcio non risulterà morbido! Risponderò: A me il pasticcio un po’ croccantino lungo i bordi non dispiace. Ma comunque fate voi. Volete sbollentare? Sbollentate, allora, sono forse io il custode di mio fratello?).  Foderi il fondo di una pirofila con tre o quattro sfoglie, poi ci distribuisci sopra un bello strato del nostro soffritto, lo spolveri con un bel po’ di parmigiano e lo copri con uno strato discreto di besciamella (non troppa, mi raccomando, ché altrimenti ci copre il nostro trio di primedonne), poi un altro strato di sfoglia e compagnia bella fino a che non esaurisci tutti gli ingredienti: sull’ultima sfoglia inverti l’ordine degli addendi, prima la besciamella, poi il soffritto con il parmigiano sopra, così che si crei una crosticina superiore deliziosa.

Facile, te lo giuro, è facile.

Divieto di sosta

giugno 20, 2012

Love me bartender

giugno 15, 2012

Immagine

“Un caffè macchiato caldo, per favore.”

“A me un latte macchiato freddo su tazza grande”

“Per me un caffè macchiato freddo con un po’ di schiuma.”

“Un macchiatone, grazie”. Una volta per tutte: CHE COS’E’ IL MACCHIATONE?

“Un caffè d’orzo – già una contraddizione in termini, ndS – macchiato su tazza larga, per favore”.

 

Fin qua tutte normali idiosincrasie. Ma il

“Cappuccino macchiato in tazza grande, per favore”

istiga alla ribellione, o no?

Blade Runner*

giugno 9, 2012

*A coloro che non avessero mai visto Blade Runner: correte a guardarlo. Primo, perchè altrimenti non potete capire il titolo del post; secondo, perchè Blade Runner va visto. A prescindere.

 

Interno giorno. Stefi e F guardano un video di Justine Bieber alla TV

S: Ma guardalo, ha un’aria da bamboccione. Un chierichetto.

F: A me piace.

S.: E poi che voce insulsa.

F: Non è vero. E’ bravo. Una notte l’ho anche sognato.

S: Mmm? (risatina)

F: Io entravo in camper e lo trovavo seduto al tavolino.

S: Davvero?

F.: Sissì.

S.: …

F.: E dall’altra parte del tavolo c’era il cantante dei Coldplay.

S: E poi che cosa succedeva?

F: Niente. Abbiamo parlato.

S.: In italiano o in inglese?

F.: Boh, non mi ricordo.Parlava solo lui. E poi mi sono svegliata.

S.:…

F.: Perchè fai quella faccia?

S.: No, niente.

Quando l’ho sognato io, a parlarmi era Sting (l’accostamento con JB è blasfemo) e al posto di Chris Martin c’era John Taylor. E il mio non era un camper, era una roulotte.

In nomine omen

giugno 9, 2012

Qui dove abito io gira un furgoncino di un’impresa edile che si è data un nome, diciamo così, programmatico.

Si chiama Impre.Co.

Confessions Tour

giugno 7, 2012

Dev’essere la posizione, il rivolgersi ad una schiena, ad una nuca. Il non guardarsi negli occhi. E anche il fatto che in quel momento parlare è un’attività accessoria a quella principale.

Fatto sta che quando siamo in macchina, F & f (rispettivamente la figlia maggiore e minore, c’è anche una minorissima, ma non parla ancora, vagisce, quindi la chiamerò V) parlano volentieri, si confidano, addirittura.

Proprio loro, le Sibille Cumane, le Sfingi, le Mute di Portici, quelle che interrogate sulla loro giornata a pranzo, a cena, sul divano la sera, rispondono con monosillabi o poco più.

Fluiscono spontanee le parole,  aneddoti e racconti rivelatori: il fatto è che spesso mi colgono impreparata, concentrata su altro come sono, la strada, per esempio, il ritardo accumulato oppure la musica alla radio. Cioè, impiego un po’ a focalizzare, a capire che sono cose importanti, che devo ascoltare. E anzi, probabilmente, è quello che le muove: mi vogliono in questa modalità un po’ off, distratta, con la mente altrove. Parlano. Chissà quando ricapita.

Quasi ho paura a fare domande, a chiedere particolari, non voglio che questo flusso s’intoppi, s’interrompa. Non è momento per consigli, soluzioni, giudizi: ascoltare, solo quello.

Faccio silenzio, ma tu parlami, fammi capire.

Siamo tutti peccatori

giugno 4, 2012

Il salame di cioccolato che ho preparato ieri constava di quanto segue: 200 gr, ripeto DUECENTO GRAMMI, di burro (se ci fosse ancora qualcuno che non si rende conto della calamità, sappia che è quasi un panetto intero, roba da far fare armi e bagagli al fegato per lo sdegno); 200 gr. di zucchero; 100 gr. di cacao amaro, 250 gr. di biscotti; 2 uova.

Sono sicura che esista una versione più light, ma io avevo fretta e ho aderito all’ortodossia del Cucchiaio.

Avevo giurato che l’avrei preparato, sì, ma che non ne avrei mangiata nemmeno una fettina, financo sottilissima.

La figura sopra fa capire quanto io sia brava a mantener fede ai miei propositi. E poi prepararlo e non mangiarlo, il salame, è masochismo puro, oltre che profondamente, clintonianamente ipocrita: si inizia a peccare già mentre lo si prepara se solo si lecca via l’impasto dal cucchiaio o dalla terrina. E’ buono, maledizione.

Lo giuro, mai più.